Gatti e buddismo: la sacralità della figura felina in questa religione

È già noto, almeno ai lettori più assidui, come anche i monaci buddisti rispettino i gatti. E, forse, per questo c’è una ragione che va oltre la gentilezza dell’anima… da ricercarsi invece nella storia di questa religione. Vi proponiamo, perciò, alcune curiosità su gatti e buddismo!

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Per trovare la possibile origine di questo legame, bisogna andare parecchio indietro nel tempo: nello specifico, agli anni in cui esisteva un’antica diramazione del Buddismo praticata nei regni di Siam e del Burma secondo cui, chi moriva con un animo puro, avrebbe avuto l’onore di aver la sua anima trasferita nel corpo di un gatto. Lì, essa sarebbe stata al sicuro e alla morte del gatto sarebbe ascesa al Paradiso.

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Oggi, il Siam ha assunto il nome di Thailandia, e se ancora esiste questa setta buddista non è più così rilevante. Una traccia della sua esistenza, però, l’ha lasciata, e nemmeno una da poco!

Questo legame tra gatti e buddismo è sopravvissuto nientemeno che nell’incoronazione del re di Thailandia. Rimane infatti usanza che il nuovo re, durante la cerimonia, si presenti con un gatto, preferibilmente Siamese, adornato di oro. Può darsi che il significato originario del gesto sia in parte andato perso, in quanto ora il micio è considerato segno di buon auspicio e un augurio di stabilità del regno.

Tuttavia, secondo l’antica dottrina, in questo modo il suo predecessore può assistere in spirito. Una tradizione che Bhumibol Adulyadej, re di Thailandia dal 1946 al 2016, ha mantenuto ben viva. E così il suo successore, attuale monarca, che però si rumoreggia abbia scelto di utilizzare un pupazzo al posto di un gatto per evitare all’animale il lungo stress della cerimonia.