“Il gatto che se ne andava da solo” di Rudyard Kipling

Come la pensasse Rudyard Kipling del dilemma cane-gatto, o almeno cosa volesse trasmettere, con la sua opera, lo sappiamo già. Conosciamo infatti la sua poesia Il gatto è capace di sedersi accanto al fuoco e fare le fusa, in cui viene elogiata l’obbedienza del cane a contrasto col comportamento a tratti buffo, ma opportunista e vezzoso, del gatto.

Col tempo, però, pare che Rudyard Kipling abbia quantomeno riconosciuto ai nostri felini preferiti l’orgoglio di ciò che sono, un orgoglio che tuttavia sconfina in una testardaggine poco saggia. Questo carattere del gatto, Kipling lo romanza nel racconto Il gatto che se ne andava da solo.

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La parte iniziale del racconto

Il gatto che se ne andava da solo torna indietro al tempo in cui tutti gli animali sono esseri selvaggi, e anche l’uomo deve ancora conoscere le comodità del fuoco, della caverna e di un giaciglio morbido. A spezzare la stasi e portare i primi segni di civiltà è la donna; non solo, la donna possiede anche poteri magici e produce un richiamo che alcuni tra gli animali odono.

Il primo ad avvicinarsi alla caverna dell’uomo e della donna è il cane, a cui la donna promette sempre cibo succulento se sarà aiuterà l’uomo a cacciare di giorno e farà la guardia di notte. Così, per il cane la donna non è più “nemica e moglie del nemico” bensì “amica e moglie del mio amico”. Il cane viene invece nominato “Primo Amico”.

È poi la volta del cavallo, che viene attirato alla caverna dal profumo di succulenta erba fresca. Anche il cavallo stringe un patto con la donna: servirà l’umanità in cambio di quell’erba. Così, per il cavallo la donna non è più “nemica e moglie del nemico” bensì “amica e moglie del mio amico”. Il cavallo viene invece nominato “Primo Servo”.

Infine, anche la mucca cede alle lusinghe dell’erba fresca, in cambio della quale promette il suo latte. La donna la battezza come “Colei-che-ci-Dà-il-Buon-Cibo”.

Il ruolo del gatto

In ogni occasione, alla stesura di ogni patto, il gatto era lì nell’ombra, a spiare, ma senza mai intervenire.

Quando il profumo del latte appena munto lo attira, però, la donna gli comunica che oramai non hanno più bisogno di amici né servi. Il gatto la lusinga lodandone saggezza e bellezza, e le strappa una promessa: se riuscirà a farsi lodare una volta potrà entrare nella caverna, se le lodi saranno due potrà avvicinarsi al fuoco e se saranno tre potrà gustare il latte bianco.

Tuttavia, il gatto non si riavvicina alla caverna per diverso tempo. Solo il pipistrello sa dove si sia rintanato, ed è il pipistrello ad avvisarlo che ora, nella caverna, c’è anche un cucciolo d’uomo a cui piacciono le cose tiepide e carezzevoli, e a cui piace giocare.

E così il gatto riconosce la sua occasione migliore.

Quando il bambino piange perché nessuno gioca con lui, lo accarezza col suo pelo setoso e lo fa ridere di gioia. La donna, senza sapere che sia lui, ne benedice la presenza. Ora il gatto può entrare nella caverna.

Nuovamente, al pianto del bambino e all’esasperazione della donna, i giochi del gatto con un arcolaio e un pezzo di filo lo rallegrano. La donna ne loda l’intelligenza, e ora il gatto può stare vicino al fuoco.

La donna, contrariata per le lodi che si è fatta scappare, si impone silenzio con un incantesimo. Ma quando il gatto cattura un topo entrato clandestinamente nella caverna, la donna ne loda l’abilità. Ed ecco che anche il gatto può bere il latte caldo della mucca.

Il gatto, però, chiama ancora la donna “sua Nemica e Moglie del suo Nemico e Madre del suo Nemico” e ribadisce che…

 […]  io continuo ad essere il Gatto che se ne va da solo, e tutti i luoghi sono uguali per me.

La donna, ormai conquistata, lo accoglie a pieno titolo, ma gli ricorda che il patto è tra loro soltanto e dovrà vedersela con l’uomo e col cane al loro ritorno.

L’uomo, al suo ritorno, impone al gatto di dare sempre la caccia ai topi; il cane, di essere sempre buono con il bambino. Se non avesse cacciato i topi, l’uomo e così gli uomini perbene dopo di lui gli avrebbero tirato i suoi due stivali di pelle, la sua piccola ascia di pietra, un pezzo di legno e un’accetta ogni volta che l’avessero visto; se fosse stato cattivo col bambino, il cane e i cani perbene dopo di lui lo avrebbero inseguito.

Il gatto accetta le condizioni, a patto che il bambini non gli tiri la coda troppo forte. Ma anche all’uomo e al cane ricorda che…

 […] io continuo ad essere il Gatto che se ne va da solo, e tutti i luoghi sono uguali per me.

L’uomo e il cane, incapaci di venire a patti con la natura del gatto, così differente dalla loro e ancora così selvaggia, dichiarano che il gatto potrà godere di tutto ciò che si è guadagnato solo quando loro non saranno vicini.

Il finale della storia ve lo raccontiamo con le stesse parole di Kipling.

Così l’Uomo gettò i suoi due stivali e la sua piccola ascia di pietra (e fanno tre) al Gatto, e il Gatto corse fuori dalla Caverna, e il Cane lo cacciò fin sopra un albero. E da quel giorno, O mio Carissimo, tre Uomini perbene su cinque tirano sempre qualcosa addosso ad un Gatto quando lo incontrano, e tutti i Cani perbene lo inseguono fin sopra gli alberi. Ma anche il Gatto ha la sua parte del patto da rispettare. Dà la caccia ai topi ed è buono con i Bambini quando è in casa, se non gli tirano la coda troppo forte.

Ma quando ha fatto tutto questo e di tanto in tanto, quando la luna si alza e la notte scende, è il Gatto che se ne va solo, e per lui tutti i luoghi sono eguali.
Allora se ne va negli Umidi Boschi Selvaggi, o sopra gli Umidi Alberi Selvaggi, o sugli Umidi e Selvaggi Tetti, agitando la sua selvaggia coda, nella sua selvaggia solitudine.

Un’ode alla natura selvaggia del gatto o una condanna? Difficile a dirlo. Forse, è solo un riconoscimento a quello che il gatto continua a essere, nei suoi occhi così simili a quelli dei grandi predatori felini.