Il gatto nella mitologia indiana: due leggende per due poemi

Non è difficile cogliere traccia del gatto nelle nostre tradizioni popolari, nel nostro folklore e in generale nelle culture più vicine alla nostra, sia geograficamente sia per quel che riguarda i tratti caratterizzanti. Che dire, invece, delle civiltà che meno, nel corso della storia hanno interagito con l’Europa? Forse non è conoscenza comune, ma il gatto nella mitologia indiana è ben presente. Non a caso, oltre che nella fiaba Il giudizio di Curd-Ear, compare in due tra i più importanti poemi epici indiani.

Fonte: http://www.pittsburghpatrika.com

La prima storia è contenuta nel Mahabharata, e ha come protagonisti il topo Palita e il gatto Lomasa.

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Palita e Lomasa vivono in una foresta, abitata tanto da altri animali quanto dal cacciatore di casta Chandala, noto per la sua abitudine di piazzare trappole a rete per catturare gli animali. Una notte, a finire in trappola è il gatto Lomasa. Il topo Palita, inizialmente, tratta con indifferenza il prigioniero… fino a quando non nota la presenza di una mangusta, Harita, e di un gufo, Chandraka, che altro non aspettano che piombare su di lui per mangiarlo. Così Palita conclude col gatto un accordo: se lo accoglierà nella trappola senza mangiarlo lui sarà al sicuro dai due predatori affamati, e più tardi potrà rosicchiare le corde della rete e salvare il gatto dal cacciatore. La collaborazione viene stipulata e funziona. La mangusta e il gufo rinunciano all’impresa, e il topo Palita, alle prime luci dell’alba, libera il gatto Lomasa; in tempo per permettergli la fuga, ma all’ultimo, perché il gatto sia troppo impegnato a fuggire per pensare di aggredire e mangiare il topo.

Ciò che rende la storia interessante è però il seguito, quasi filosofico. Lomasa, alla conclusione degli eventi, si presenta da Palita e gli propone di iniziare un’amicizia vera, un rapporto ben diverso da quello che hanno vissuto durante quella notte. Palita rifiuta, evidenziando le differenze tra gatto e topo, predatore e preda, forte e debole e spiegando come impedirebbero loro di andare oltre un rapporto di convenienza.

Il dio Indra. Fonte: http://asiaobscura.com

Il gatto nella mitologia indiana ha un posto anche nel poema epico noto come Ramayana.

Il dio Indra, invaghitosi della donna mortale Ahalya, decide di sedurla; ma, essendo la donna sposata, l’impresa presenta più di una difficoltà. Indra escogita allora una soluzione molto, molto semplice: averla con l’inganno, presentandosi con le fattezze del suo legittimo marito. Lo stratagemma funziona, ma è proprio il vero marito di Ahalya a coglierli sul fatto. E così Indra, per sfuggire alle ire dell’uomo infuriato, si trasforma in un gatto.

Non è forse, questa scelta del dio, una lode alla sveltezza di movimenti e all’agilità dei nostri felini?